Isola Madre

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Taranto è un’antichissima città, per raggiunge il “centro storico” basta attraversare il Ponte Girevole o il Ponte di Porta Napoli. La zona più antica di Taranto è concentrata infatti su di un’isola. Questa città dette i natali a Giovanni Paisiello, ad Anna Fougez ed anche a Sant’Egidio.

Taranto forse è l’unica città al mondo (oltre a Siracusa) in cui la parte antica e la parte nuova sono separate, non solo storicamente, ma anche geograficamente. Forse è proprio questa “separazione fisica” a rendere l’Isola Madre un posto speciale. Quando percorro le sue strade ho sempre l’impressione di trovarmi immerso in “un mondo a parte”, in un’atmosfera diversa, per nulla simile a quella che si sente oltre i due ponti che la separano dalla terra ferma, è come se sull’Isola Madre brillasse “un altro sole”, creato apposta per illuminare quei tetti, quelle strade, quella gente.

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Passeggiando fra le case dell’isola si può notare il mare a strapiombo dalla ringhiera di Corso Vittorio Emanuele II, il tripudio architettonico di chiese e palazzi d’epoca o il fascino antico delle colonne del Tempio di Poseidone, ma così normale e quotidiana è anche la vista dei balconcini delle case da cui pendono lenzuola e biancheria.

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Stradine tortuose e cunicoli senza sole si intervallano a palazzi antichi ed antichi monumenti come il magnifico Castello Aragonese. Osservandone le crepe, qualcuno scorge il fascino di un passato signorile. Pensate che una delle viuzze è stata ribattezzata “Vicolo del Bacio”, proprio perché le persone che vi passano attraverso sono costrette a sfiorarsi.

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Dopo l’anno mille, quando i Saraceni causarono la totale distruzione della Taranto greco-romana, si rese necessario ricostruire la città tenendo conto di questa drammatica esperienza. L’imperatore bizantino Niceforo Foca, che è considerato il secondo fondatore di Taranto dopo Taras, si interessò alla faccenda su pressione dei superstiti della città e fece arrivare architetti dalla Grecia affinché la ricostruissero.

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Il fatto che sorgesse su un’isola creava già una buona opportunità difensiva, ma non era sufficiente. La nuova struttura urbanistica di Taranto doveva consentire di proteggerla dagli sbarchi di altri invasori, perciò le sue strade vennero rese strettissime in modo che non potesse passarvi più di una sola persona per volta.

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Molti di questi architetti non tornarono nella terra natia perché non seppero resistere – naturalmente – al fascino delle donne tarantine e ad esse si unirono in matrimonio. Tra le stradine della città vecchia si iniziò a parlare una lingua “mista“, tanto che ancora oggi nel “dialettale” è rimasta qualche traccia di vocaboli di provenienza greca: babbione, citro, paturnia, vastàse, rummàte, vummìle.

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Niceforo dotò Taranto di acquedotti e salde mura, rese inoltre più bassa la costa lungo il Mar Piccolo per consentire ai pescatori di praticare facilmente la loro attività.
Nonostante la devastazione cui fu sottoposta, Taranto ritornò a dominare il suo mare da cui aveva tratto da sempre la sua forza e la sua ricchezza.