Che siate o meno dei fan della banda di Natale, resta un dato di fatto: oggi è l’8 dicembre e l’inizio del Natale è, ormai, cosa incontrovertibile.
I Tarantini che non hanno ancora addobbato e sistemato le luci sul proprio balcone non hanno più scampo: devono farlo, pena il broncio dei più piccoli.
L’Immacolata spalanca le porte al Natale, facendo entrare nelle case tarantine il panettone, la tombola, le carte da gioco e i primi regali sotto l’albero. La tradizione prevede anche la preparazione dei dolci natalizi: pettole, sanacchiudere e carteddate.
L’Immacolata è patrona di Taranto – al pari di San Cataldo – sin dal 1943.
Le sue origini sono antichissima, parliamo di più di 300 anni fa, infatti era la notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1710 e all’improvviso Taranto fu colpita da un violento terremoto che causò ingenti danni, ma senza mietere vittime. La popolazione attribuì il miracolo alla Madonna che fu così proclamata protettrice della città appena il luglio seguente.
Il 20 febbraio 1743 un altro terremoto (con annesso tsunami) afflisse il Salento e, anche in questa occasione, la città subì solo lievi danni. Per i Tarantini fu la Vergine ad arrestare entrambe le catastrofi grazie, secondo la tradizione popolare, a un gesto delle sue mani.
Per circa due secoli l’Immacolata fu venerata come Patrona “minore” di Taranto fino a quando il 12 febbraio 1943, grazie alla proposta dell’arcivescovo Ferdinando Bernardi, la Vergine divenne “Patrona principale di Taranto insieme e come San Cataldo”.
Le celebrazioni hanno inizio l’ultima domenica di novembre. La statua della Vergine viene accompagnata in processione dalla chiesa di San Michele a quella di San Cataldo per l’inizio della novena in suo onore che si conclude il 7 dicembre.
Nel pomeriggio dell’8 dicembre ha inizio invece la processione che percorre il pendio San Domenico, piazza Fontana, via Garibaldi, discesa Vasto e piazza Castello, il tutto accompagnato dalle melodie delle pastorali natalizie e da fuochi d’artificio.
In passato il giorno della vigilia si usava fare digiuno, l’unica cosa che era consentito mangiare a pranzo era una specie di pagnotta ovale e soffice detta mescetàre o miscetàle o miscetàte (termine che deriva da una deformazione di vigitale, ossia della Vigilia).